IL FIGLIO DI DUE MAMME VA ISCRITTO ALL'ANAGRAFE

IL FIGLIO DI DUE MAMME VA ISCRITTO ALL'ANAGRAFE

Via libera all’iscrizione all’anagrafe di un atto di nascita con due mamme. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 14878 del 15 giugno 2017, ha infatti accolto la richiesta di due cittadine italiane, coniugate nel Regno Unito, che avevano chiesto la rettificazione del certificato di nascita del figlio (a seguito di fecondazione assistita), in quanto riportava unicamente il cognome della madre biologica. Prima l’ufficiale di Stato civile di Venezia, poi il Tribunale e la Corte d’appello, invece, avevano rifiutato la correzione ritenendola contraria all’«ordine pubblico».

Per la Corte però la nozione di «ordine pubblico» che va richiamata non è quella «interna» ma «internazionale». In questo senso, assume un valore «rilevantissimo», oltre alle Dichiarazioni e Convenzioni Onu sui diritti dell’uomo e del fanciullo, la giurisprudenza della Corte Edu che ha più volte condannato l’Italia per l’assenza di una legislazione sulle coppie omosessuali, ed ha sempre messo al centro l’«interesse del minore» ed il suo «diritto al riconoscimento ed alla continuità delle relazioni affettive, anche in assenza di vincoli biologici ed adottivi con gli adulti di riferimento, all’interno del nucleo familiare». Affermando anche che «l’ordine pubblico non può utilizzarsi in modo automatico senza prendere in considerazione l’interesse del minore e la relazione genitoriale, indipendentemente dal legame genetico».

I giudici di legittimità ricordano poi che la legge 76/2016 ha introdotto in Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso «con una disciplina molto simile a quella del matrimonio». E che seppure l’adozione del figlio del coniuge non è prevista, una recente sentenza (n. 12962/2916) l’ha riconosciuta nel caso di due donne che avevano deciso di avere un figlio in Spagna (con seme di donatore anonimo), privilegiando una interpretazione estensiva dell’adozione in casi particolari.

Ma ancor più rilevante, prosegue la Corte, è una seconda decisione (19599/2016) riguardante il caso di due donne che dopo aver avuto un figlio sempre con l’eterologa ma impiantando l’ovulo dell’una nell’utero dell’altra, hanno ottenuto, dopo il divorzio, una pronuncia favorevole alla trascrizione in Italia del bambino come figlio di entrambe. Secondo questa decisione la donazione dell’ovulo «non configura maternità surrogata» ma una «situazione analoga alla fecondazione eterologa». E in questi casi la legge (articolo 9) prevede, che «il coniuge o il convivente il cui consenso alla tecnica sia ricavabile da atti concludenti, non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità né impugnare il riconoscimento».

«È vero – prosegue - che la legge n. 40 prevede che i conviventi siano di sesso diverso e che la procreazione assistita si effettui solo in caso di sterilità della coppia». «Tuttavia – conclude la Corte -, trattandosi di fattispecie effettuata e perfezionata all’estero e certificata dall’atto di stato civile di uno Stato straniero, si deve necessariamente affermare, per quanto si è andato finora osservando, che la trascrizione richiesta non è contraria all’ordine pubblico (internazionale)»

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