Non esiste diritto al risarcimento danni per un bambino nato senza una mano
La mancanza di una mano non è una malformazione del nascituro così rilevante da mettere in serio pericolo la salute fisica e psichica della madre. La Cassazione (sentenza 9251), respinge il ricorso di una coppia di genitori che chiedevano i danni, ai medici e al centro diagnostico, per non aver rilevato con l’ecografia morfologica, l’assenza dell’arto nel loro bambino. La donna aveva effettuato l’esame nella 21 settimana di gravidanza, e dunque dopo il 90 giorno. I giudici ricordano che in base alla legge (194/1978) l’interruzione di gravidanza sarebbe stata ammissibile entro il 90 giorno, per “serio” pericolo della salute della madre a causa delle anomalie del nascituro. Superati però i 90 giorni di gestazione, il pericolo per la vita della donna deve essere “grave” e le malformazioni “rilevanti”: l’interruzione di gravidanza diventa, infatti, una via eccezionale. La Suprema corte sottolinea che la legge italiana non prevede il cosiddetto aborto eugenetico a prescindere dal grave pericolo per la vita o la salute fisica o psichica della donna. L’ordinamento, pur riconoscendo un diritto alla procreazione cosciente e consapevole nega l’accesso all’aborto se non quando è fortemente a rischio la madre.Detto questo i giudici della terza sezione civile sottolineano, che in grado di pregiudicare in modo grave la salute della donna, sono soltanto le anomalie e le malformazioni “rilevanti”. Nel caso esaminato i giudici hanno accertato che la mancanza della mano sinistra non poteva considerarsi anomalia “rilevante” per la legge. L’handicap con il quale era nato il bambino non era idoneo a incidere sulla vita e sulla salute della ricorrente. Lo stesso consulente di parte, afferma la Cassazione, in una scala di quattro fasce di gravità: lieve, rilevante, grave e molto grave, aveva definito “rilevante” il danno psichico riportato dalla madre. Inutilmente i ricorrenti rivendicavano il diritto ad essere avvertiti della malformazione, quantomeno per arrivare al parto più preparati. Per i giudici però non c’era la prova che, se al corrente del “problema” la madre avrebbe reagito in modo diverso.Né passa la tesi del danno subìto dallo stesso bambino. Per la Corte tale danno - da valutare nell’inserimento del nato in un ambiente familiare non pronto ad accoglierlo e dunque nella privazione dell’amore familiare - comporterebbe il riconoscimento del diritto «a non nascere se non sani», non previsto dall’ordinamento. Per finire, non è possibile stabilire «un nesso causale tra la condotta colposa del medico e le sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della vita».